Quel giorno del 2005, sì più di dieci anni fa, camminando lungo le passeggiate che costeggiano il fiume Passirio, pensai che la città di Merano fosse un luogo particolarmente silenzioso, visto che, a parte le grida acute di alcuni bambini che giocavano rincorrendosi tra loro, nessun’altro suono disturbava i miei pensieri. 

Un mese prima l’otorino dell’Ospedale di Merano, centro all’avanguardia e punta di riferimento per l’intero paese, dopo avermi tolto ogni speranza di recupero e di possibili interventi chirurgici, mi aveva consigliato, insieme ad un tecnico audioprotesista,  un apparecchio acustico endoauricolare, ossia una protesi che si sarebbe accomodata all’interno del mio condotto uditivo, e che se ne sarebbe stata lì, piccola e del tutto invisibile dall’esterno. “Wow“, pensai sorridendo quando me lo dissero “potrò ancora lasciare scoperte le orecchie e sarò ancora io“. Sì, lo ammetto,  fu quello il mio unico pensiero, uno stupido pensiero vanitoso che mi permise però di vivere con leggerezza le due settimane di attesa, necessarie per costruire quel piccolo gioiello di microcircuiti. Così, durante quel tempo, mi dimenticai che mi avevano detto che la curva del mio udito non era per nulla facile: essa scendeva pericolosamente sotto il 40% sui suoni grevi, che comprendono,  oltre alla maggior parte delle voci maschili, anche una serie di bellissimi suoni come quelli dello scorrere dell’acqua, dello strofinare delle stoffe lungo il corpo o delle mani tra i capelli, dei passi per la strada, o del rombo dell’autobus e dello sfrecciare delle macchine, per poi salire a zero, ovvero per poi essere perfetta su tutti i suoni alti ed acuti. Lì stava la sfida e, se quel centro rinomato, mi aveva consigliato quel tipo di apparecchio, di certo io gli avrei dato fiducia.

Buongiorno Cristina“, disse l’audioprotesista quel giorno del 2005, mentre, delicatamente, infilava nel mio condotto uditivo quei due piccoli apparecchi a forma di pera,  “Buongiorno“, risposi, ma non riconobbi la mia voce. 
Buongiorno” dissi un seconda volta per sentire se avessi sentito bene, e ancora non mi riconobbi, ma quella voce era la mia: suonava metallica e dura, come un susseguirsi di colpi decisi di martello su una superficie di metallo. Così, istintivamente, durante la nostra ora di prove, la mia voce si assestò su una tonalità più bassa, apparendomi meno chiassosa e, dunque, più vicina alla me stessa che conoscevo. “Cristina, mi raccomando, sentirà una grande quantità di suoni che il suo orecchio non è più abituato a sentire; ogni volta che ne sentirà uno, lo visualizzi  in modo che il suo cervello lo possa memorizzare. Per esempio, sente un rumore dietro di lei che non riconosce? Si volti e lo visualizzi (per esempio il rumore dei tacchi sull’asfalto) così la prossima volta che lo sentirà, il suo cervello lo riconoscerà e Lei non avrà più bisogno di voltarsi. Segni su un piccolo quaderno i rumori che le danno fastidio, quelli che le sembrano troppo forti, le parole che non capisce “. “Va bene”, risposi “ci vediamo fra dieci giorni “.

Quel giorno del 2005, quando uscii all’aperto e mi ritrovai sulle stesse passeggiate che avevo percorso due ore prima, il modo intorno a me era cambiato e la percezione  del mio corpo che attraversava quel mondo era completamente diversa: improvvisamente, ero diventata rumorosa, le suole di cuoio delle mie scarpe schioccavano sull’asfalto come suoni di frusta, i rami degli alberi, attraversati dal vento del nord, strusciavano nelle mie orecchie, le voci gioiose dei bambini mi sembravano troppo potenti per quei corpi cosi piccoli. Ma c’era un altro suono, cupo e sordo, che mi seguiva nel mio cammino, non mi mollava e mi accompagnava, insistente, e non capivo cosa fosse. Attraversai il ponte sopra il Passirio e, finalmente,  quel suono cupo e sordo sovrastò tutti gli altri.
                                                                       Era il fiume,

erano le sue acque che spingevano contro i sassi più grandi senza riuscire a muoverli, erano le sue acque che trascinavano a valle ciottoli e sassolini, trasformandoli in una cascata di rumore. Ed era potente, quasi  un boato che io fissai a lungo per permettere al mio cervello di memorizzarlo bene, affinché lo archiviasse tra i rumori non graditi. Mentalmente visualizzai la lista dei rumori nuovi , spuntai la voce “fiume” e aggiunsi una breve nota: rumore fastidioso, tenersi a distanza. 

Nei mesi che seguirono, i rumori troppo fastidiosi, vennero confinati una zona “no disturb“, mentre le voci degli uomini furono inserite prepotentemente dentro le mie orecchie e presero il sopravvento sui suoni della vita. Parve a tutti un buon risultato  e così accettai  la prepotenza  con cui le voci degli uomini coprirono gli altri suoni, che furono relegati in una zona grigia che si trasformò presto in un ronzio di sottofondo senza nessuna  identità.